giovedì 12 dicembre 2013

'Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere'



La sua colonna è una sequela di vertebre incurvate, le braccia stringono le gambe raccolte al petto, come per paura che qualcuno possa venire a tiragliele vie. I capelli -Rosales ne sarebbe rimasto perplesso, certamente- rivoltati contro il pavimento, sporchi di polvere e del tempo, del tempo che passa nella cella di Timisoara, mentre fuori impazza l'inferno.
Osserva tra le ciocche castane le sbarre, una guancia premuta sulle ginocchia inizia ad acquisirne il segno.
E' sempre più difficile catalogare i pensieri con ordine, mettere in fila nomi e facce, trovare spiegazioni.
Ha squarciato la faccia di Moloko Cortes, ed è finita lì.
L'ha fatto con un bisturi, per paura di morire.
Come fai a dirglielo, come fai a spiegarlo a queste persone che è stata la paura a farla reagire a quel modo?
Ci spinge la fronte, ora, contro le ginocchia.

'Non fidarti di lui.'
Eivor Edwards era così seria, lì davanti. Quando era successo? Il giorno prima? Qualche ora fa? Prima o dopo l'arrivo di Marshall Lee?

'Scopalo. Innamorati. Fai quello che vuoi. Ma non fidarti di lui.'

Era lei, la bionda su cui aveva fantasticato mille volte, osservando gli scarponcini di Huck Haggerty.
E le era grata, in qualche modo, per aver riportato quel nome nella sua cella, anche se solo per un secondo, anche se solo a bassa voce.
Aveva avuto ragione, Huck, quella volta. Qualcuno l'ha spaccata la sua campana di vetro: l'ha fatto da sola, con le sue mani, l'ha fatto senza sapere che cosa diavolo stesse combinando.

'Tu non sai quello che fai, cazzo. Ti butti nelle cose a cazzo, e ferisci te stessa e gli altri con la stessa facilità con cui rompi i bicchieri.'

Era vero anche questo, era vero come era vero che Lee l'aveva ferita con quella storia della tortura, e lei aveva ferito lui -ne era consapevole- difendendo le ragioni di Black.

Sta ferma, e adesso non guarda nemmeno più le sbarre perchè gli occhi ce li ha chiusi. Piange, ma lo fa piano, con una mano piantata sulla bocca per non disturbare l'accavallamento dei suoi pensieri cupi.
Non lo sa che cosa sta per succedere, non sa chi verrà oggi, se mangerà, non sa se è giorno o notte, non sa se vivrà o morirà. Si rende conto solo di una cosa, nell'umidità che ti entra nelle ossa, in una piccola cella di Timisoara: meglio continuare a spaccare bicchieri, che campane di vetro.







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