sabato 7 dicembre 2013

'E ora, balliamo.'



(annotazioni scritte con una grafia fitta fitta.)

Sono arrivata, piove un casino, ho i calzini fradici e io odio avere i calzini fradici.
Quando non hai i piedi al caldo è una tortura, e mi sa che qui non ce li avrò per un bel po'.
Il Signor Volkov in realtà è il Capitano di questa gente, ed io non lo avrei minimamente sospettato.
Lo ricordo con una stecca da biliardo in mano, lo ricordo quando m'ha insegnato -oddio, diciamo che m'ha sfrantumato il culo- a Black Jack.

'Carta, carta, carta.'
'Sballato.'

Chiedo un'altra carta, chiedo di restare.
E il capitano acconsente, e Rosales, poi, mi guarda come se fossi una persona di cui prendersi cura.
Ed effettivamente l'ha fatto, s'è preso cura di me, non ha chiesto niente in cambio, lui non ha chiesto 'Carta'.
Chiede una carta Volkov, però, chiede che io produca farmaci.
E io acconsento, e lo faccio col cuore in gola, perchè stavolta non cucinerò droga, e nessuno mi sussurrerà più all'orecchio che sono un'assassina, e io forse potrò tornare a dormire.
Dormire. Coi piedi gelati, ma pur sempre dormire.
Carta, chiedo un'altra carta e mi ritrovo a viaggiare su una Jeep in compagnia di Rosales, mi spiega la prima regola, e mi guarda come se mi leggesse dentro, come se capisse.
Io, invece, non ci capisco proprio niente, se non che ogni volta che il mio accento corer mi scivola fuori dalle labbra, il banco sballa, e io mi guadagno una sonante occhiata di puro fastidio. O di diffidenza. O di odio. O di tutte e tre le cose insieme, accidenti.
E poi, improvvisamente Tiago mi afferra per i polsi e mette su una musica assurda, una che sembra ballabile, e in effetti 'Balliamo.' Mi dice.
'Ora balliamo', e più che ballare mi si spalma addosso e mi stringe, e poi mi fa ondeggiare a destra e a sinistra, che per fortuna che non ho mangiato niente, o giuro che vomitavo di tutto.
Me la offre lui, una carta. Con un sorriso di quelli che c'hai solo :

1- o quando sei ubriaco
2- o quando sei drogato
3- o quando gli Horyzon Buccaneers hanno vinto alla finale contro quegli stronzi del New London
4- o tutte e tre le cose precedenti insieme;

dicevo, con un sorriso davvero largo mi dice che mi può falsificare il tesserino identificativo.

'Te strapo dall'anagrafe'.
Mi strappa dall'anagrafe.
Rifiuto la carta e sto, che ancora non lo so se ho intenzione di sparire dal mondo, inghiottita del tutto dalla pioggia di Bullfinch.

La Cortès.
E' difficile sostenerne lo sguardo, è difficile farlo anche se se ne sta sdraiata sul letto mezza moribonda, è difficile soprattutto quando mi chiama 'faccia di merda', e io non so che dire, e mi viene il sospetto che il fango mi sia schizzato in faccia, ma evito di chiedere e pure di toccarmi il viso. Non voglio che Cortès pensi che sia totalmente deficiente.
Me la offre lei, la carta. E io l'accetto, accetto che mi insegni a sparare, non appena si riprenderà.
L'ansia mi assale al pensiero che io possa imbracciare un'arma e spararle inavvertitamente in faccia.
'Scusa, Cortès, Scusa preventivamente se io t'ho sparato addosso, non volevo, m'è partito il grilletto.'
Forse mi direbbe anche a quel punto che chiedere 'scusa' è da froci.
Anzi, no, non lo direbbe perchè a quel punto sarebbe morta.
Oddio, oddio ho appena ucciso la Cortès nella mia testa, questa cosa è terribile, non vorrei che morisse, non lo vorrei anche se continua a piantarmi addosso quegli occhi diffidenti e un po' cupi.
Si chiama Moloko, tra l'altro, l'ho scoperto, l'ho chiesto a Rosales, ho chiesto un'altra carta e lui me l'ha offerta come un croupier stanco, ma tenace.

E piove ancora, ed è tutto buio. Sto dormendo su un letto che non è un letto vero, o almeno, sarebbe un insulto chiamarlo 'letto', perchè le molle mi stanno aggredendo fisicamente la colonna vertebrale, credo che me la paralizzeranno entro breve, finirò su una sedia a rotelle per colpa di una branda malandata.
E' quasi più terribile che sparare addosso a Moloko.
Moloko. Carta, Moloko, Carta.
Dammi una possibilità, almeno una, prometto di respirare, di pagare le cambiali, di non entrare in ansia, di non sballare.
Prometto di non sballare.
Prometto di non pensare a Dragan, lo prometto, prometto di non pensare a come m'ha stretto forte le mani, a come m'ha guardata lì davanti alla Chiesa, come se non volesse lasciarmi andare. Prometto di non pensare alle risate soffocate contro le lenzuola, alla sua camicia rossa, agli schiaffi, agli abbracci dolenti e al suo risistemarmi dietro le orecchie le ciocche di capelli. Prometto di non pensare che porto sfacciatamente al collo la collana che m'ha regalato, alla sua risata afona, al suo modo di camminare come se fosse il padrone del 'Verse. Prometto.Io prometto di non pensare a quando m'ha parlato di Victory, e poi m'ha preso il viso tra le dita, e m'ha sfiorata con parole di quelle parole che fanno un male cane, a ripensarci, ma ho promesso di non farlo, e prometto anche di non credergli, di non credere che mi stia aspettando, che mi stia davvero aspettando.
'Fai quello che devi fare. E poi torna da me.'
Non mi stai aspettando, Joe, vero? Non lo stai facendo?




Le stelle, oggi, non m'hanno ancora inghiottita.
Ma le molle di questo materasso lo stanno per fare: Blackbourne sarebbe felice.




( annota, subito dopo, un messaggio probabilmente ricevuto sul cortex pad. Mancano interi brandelli di frasi, li ha prima scritti, poi cancellati con violenza.)


So cosa hai fatto [...] Morrigan e per l'ennesima volta mi hai [..].
Avrei dovuto ucciderti il primo giorno che ti ho visto mettere piede [...].
Hai cercato anche di [...]  pulita la coscienza. [...]Per trovare una soluzione ai tuoi guai.
Questo gesto Morrigan, non lo dimentico [...] questo.
Non c'è posto nel verse [...] dove non ci sia qualcuno che mi deve un favore.
Guardati sempre le spalle da oggi in poi Morrigan, [...] le cose cambiano.


(e ancora, più sotto, un altro stralcio di messaggio.)



'Perché ti dico questo? Perché ci ho pensato, Zoe, e ho capito che il mio orgoglio vale meno di quello che provo per te. E perché non voglio svegliarmi, domani, con la consapevolezza di averti perso, la consapevolezza che sia troppo tardi.'




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