martedì 17 dicembre 2013

Apri gli occhi, Morrigan.





[una lettera piegata in quattro parti, viene fatta slittare sotto la porta di Morrigan]

quand'eravamo piccoli, giocavamo spesso a una cosa, uno sport, forse erano solo palate gratuite. Per fartela breve... c'erano due squadre che combattevano; undici ragazzi in un quadrato di terra e undici nell'altro quadrato. A vederlo dall'alto il campo intero, segnato da righe di gesso, era una specie di rettangolo lungo parecchi metri, con due porte, una per ogni squadra. L'obiettivo era attraversare quel rettangolo fino a soffocare. Non appena sconfinavi nel territorio avversario con la palla stretta al petto, sapevi già che ti avrebbero sommerso come uno stormo di cornacchie. In quei trenta secondi scarsi, mentre focalizzavi la porta, sapevi già che t'avrebbero caricato, trattenuto, placcato, insultato, sgambettato. Sapevi già che quella cazzo di palla sarebbe stata il motivo dei lividi e delle ossa rotte, delle bestemmie e degli spintoni, delle testate sui denti e dei pugni nello stomaco. L'unico modo per vincere era lanciare la palla a un compagno libero, mentre tu affogavi nel fango e venivi calpestato a calci. La palla volava di mano in mano, non stava mai ferma e non era di nessuno. Ce la passavamo per ore e ore, tracciando un labirinto di linee invisibili nel cielo.
Pensavo solo questo mentre scappavamo da Bullfinch, mentre ero in plancia a vedere i missili scivolare sul dorso della nave.
Pensavo che ci siamo menati così forte da aver annaffiato (per anni) col sangue e gli sputi, l'erba di quel campetto. Lo sapevo allora e lo so adesso che quella palla non l'avrei mai mollata, che l'avrei lasciata solo nelle mani dei miei compagni.
E' per questo che io e te non siamo mai state amiche Morrigan, tu non stai ne dentro ne fuori il campo, non sai neanche da che parte devi mettere i piedi. E io non ti odio, e non ho bisogno di perdonarti perché le ossa, me le hanno già spezzate prima che tu arrivassi col carico di paura e medicine.
Apri gli occhi Morrigan, ti muovi come una bandiera quando in realtà dovresti essere il braccio teso che la regge.

Cortès.

venerdì 13 dicembre 2013

Funziona solo negli Holo-film




Il mal di testa le stava trapanando le tempie e lei, seduta sulla sua brandina, cercava coi polpastrelli di trovare un po' di pace.
Ma era impossibile.
Perchè quel giorno gli altri detenuti nelle celle dello Sceriffato erano più turbolenti del solito.
La sua era una delle poche celle singole, ma poco più in là spazi cumulativi ospitavano criminali, soldati che avevano disertato, ladri, e svariate sottospecie di gente davvero poco raccomandabile, pronti a saltare alla gola del proprio vicino per fregargli un po' della brodaglia che gli portavano da mangiare.
Tra grida d'incitamento e sangue sparso, un tizio di Bullfinch se le stava dando di santa ragione con uno di Boros, a quanto aveva capito Zoe, che cercava di ignorare i vari:

- Cazzo, punta agli occhi, agli occhi!
- Ma che fai, pezzo di stronzo? Buttalo giù, devastalo!
- Adesso stacco una delle sbarre e te la pianto dritta in gola.

Etcetera. Etcetera. Etcetera.

In breve, il finimondo era scoppiato là dentro, corpi ammassati gli uni sugli altri che si facevano spazio a colpi di ginocchiate, gomitate, capocciate e pugni negli incisivi.
Una roba immonda.
E ad un tratto la nostra Paladina della giustizia, alias Zoe Morrigan, si era alzata di scatto dalla sua brandina. Aveva sollevato la testa arruffata con aria decisa, e poi s'era avvicinata alle sue sbarre.

- FERMI TUTTI!

Aveva gridato con la voce un po' roca e graffiata, classica di chi c'ha l'umidità perfino nelle mutande.
Inizialmente non aveva riscosso molto successo, finchè non se ne è uscita fuori con..

-SIGNORI! PER FAVORE!

Binomio altamente improbabile la parola 'signori' accostata al 'per favore', uniti ad una voce femminile, lì nelle celle di Timisoara.
A poco a poco i pazzi squinternati si erano fermati, bava alla bocca, occhi iniettati di rabbia, e avevano girato le teste verso la nana che stava cercando di far capolino tra le sbarre.
E poi, poi era successo l'irrimediabile.

- Figli di Gondor, di Rohan. Fratelli miei!

Se ne era uscita così, provando pure a fare una voce altisonante.

-Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore! Forse arriverà un giorno in cui il coraggio degli uomini verrà meno, e abbandoneremo i nostri amici, e spezzeremo ogni legame di fratellanza, ma non è questo il giorno! Un'ora di scudi spezzati quando l'era degli Uomini finirà, ma non è questo il giorno! Oggi, noi combattiamo! Per tutto quello che vi è caro su questa terra, vi invito a resistere, Uomini dell'Ovest!

Il silenzio era piombato nel corridoio stretto che separava le varie celle.
Sguardi confusi, allibiti, espressioni stralunate s'alternavano sulle facce dei detenuti.

- Figli de che?
- Fratelli di chi?
- CORER DI MERDA, FA CHE ESCO DA QUI E TE LI FICCO TUTTI NEL CULO GLI SCUDI SPEZZATI!
- Puttana corer, che cazzo dici?
- A morte! A morte la corer!
- A morte Boros!
. A MORTE TUTTI!

Badabam. Avevano ricominciato a darsele di santa ragione.
Lei aveva sospirato, s'era ritratta dalle sbarre, ed era tornata con la coda tra le gambe a sedersi sulla sua brandina.
In fondo, roba del genere funziona solo negli Holo-Film.

giovedì 12 dicembre 2013

'Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere'



La sua colonna è una sequela di vertebre incurvate, le braccia stringono le gambe raccolte al petto, come per paura che qualcuno possa venire a tiragliele vie. I capelli -Rosales ne sarebbe rimasto perplesso, certamente- rivoltati contro il pavimento, sporchi di polvere e del tempo, del tempo che passa nella cella di Timisoara, mentre fuori impazza l'inferno.
Osserva tra le ciocche castane le sbarre, una guancia premuta sulle ginocchia inizia ad acquisirne il segno.
E' sempre più difficile catalogare i pensieri con ordine, mettere in fila nomi e facce, trovare spiegazioni.
Ha squarciato la faccia di Moloko Cortes, ed è finita lì.
L'ha fatto con un bisturi, per paura di morire.
Come fai a dirglielo, come fai a spiegarlo a queste persone che è stata la paura a farla reagire a quel modo?
Ci spinge la fronte, ora, contro le ginocchia.

'Non fidarti di lui.'
Eivor Edwards era così seria, lì davanti. Quando era successo? Il giorno prima? Qualche ora fa? Prima o dopo l'arrivo di Marshall Lee?

'Scopalo. Innamorati. Fai quello che vuoi. Ma non fidarti di lui.'

Era lei, la bionda su cui aveva fantasticato mille volte, osservando gli scarponcini di Huck Haggerty.
E le era grata, in qualche modo, per aver riportato quel nome nella sua cella, anche se solo per un secondo, anche se solo a bassa voce.
Aveva avuto ragione, Huck, quella volta. Qualcuno l'ha spaccata la sua campana di vetro: l'ha fatto da sola, con le sue mani, l'ha fatto senza sapere che cosa diavolo stesse combinando.

'Tu non sai quello che fai, cazzo. Ti butti nelle cose a cazzo, e ferisci te stessa e gli altri con la stessa facilità con cui rompi i bicchieri.'

Era vero anche questo, era vero come era vero che Lee l'aveva ferita con quella storia della tortura, e lei aveva ferito lui -ne era consapevole- difendendo le ragioni di Black.

Sta ferma, e adesso non guarda nemmeno più le sbarre perchè gli occhi ce li ha chiusi. Piange, ma lo fa piano, con una mano piantata sulla bocca per non disturbare l'accavallamento dei suoi pensieri cupi.
Non lo sa che cosa sta per succedere, non sa chi verrà oggi, se mangerà, non sa se è giorno o notte, non sa se vivrà o morirà. Si rende conto solo di una cosa, nell'umidità che ti entra nelle ossa, in una piccola cella di Timisoara: meglio continuare a spaccare bicchieri, che campane di vetro.







lunedì 9 dicembre 2013

'Mi piaci, Zoe, ma il sangue della mia gente è più importante del tuo.'



Lo so, che è così.
Ma non serviva certo dirlo, Marshall Lee, non dovevi necessariamente dirlo a voce, sapevi benissimo che ero a conoscenza della cosa. E come potrei fare diversamente?
Me lo ricordate tutti, qui, ogni giorno. Non c'era bisogno di dirmelo.
Non c'era alcun bisogno, mi ripeto, non c'era bisogno di farlo nel laboratorio, dove tra boccioni d'acido e sostanze chimiche cercavo di ripulirmi le mani dalla droga che ho preparato fino ad ora.
Ma non fa niente, Zoe, va tutto bene, Zoe.
Hai preparato gli antidolorifici, sei stata brava, Zoe.
Sei stata brava.


In tutto questo, c'è una nota buona, una nota bella, forse l'unica: Moloko Cortès sembra avermi accordato un pizzico di fiducia. Dice che sono un dito nel culo -testuali- ma domani mi viene a trovare, domani viene a trovare me. Viene lei da me.

'Una come lei non indossa golf rossi. E se lo fa, è solo perchè una pallottola le ha traforato lo stomaco, e quello, beh, quello è il rosso del suo sangue.'

Ma lo ha indossato, il mio. Oddio, io e Rosales glielo abbiamo messo mentre non era cosciente, e tralascerei volentieri il fatto che ha cercato di strapparselo via di dosso più e più volte tipo una scimmia drogata.
Fuma. E ho fumato.
Vieni qui. E ci vado.
Posacenere. E prendi il posacenere.
Perchè non riesco a dirle di no?
Mi sa che ho qualche problema col fatto di farmi accettare. O forse non lo so, forse è solo che non sono mai stata così distante da casa, come adesso.
Non mi sono mai sentita così lontana.
Mi sa che non mi sono mai sentita così sola, è questo il guaio.
Ho visto Saren e Dragan attraverso lo schermo del mio Holodeck, è stato bello.
Saren era preoccupato, stavolta non ha fatto niente per nasconderlo. E Dragan.. Dragan..
Dragan. Vaffanculo, razza d'handicappato.
Se non avessi ammazzato la mia amica, io non sarei mai partita, mai.

..

Volevo provare a scaricare sugli altri responsabilità varie ed eventuali, ma in realtà non funziona, non è così, probabilmente sarei partita lo stesso, solo che lo avrei fatto con meno rancore come bagaglio culturale da portarmi appresso IN QUESTO MALEDETTO PIANETA IN CUI PIOVE SEMPRE E MI GUARDANO TUTTI MALE E GLI ANFIBI SCIVOLANO SUL FANGO E IL LABORATORIO NON E' MANCO TROPPO ATTREZZATO E MI SENTO SOLA, MANNAGGIA LA MISERIA, MI SENTO SOLA COME QUANDO METTI I CALZINI IN LAVATRICE  E PUNTUALMENTE NE RITROVI SOLO UNO, E PURE SCOLORITO.
Ho finito. Mi sono sfogata.

Vaffanculo pure a te, Marshall Lee. Perchè hai dovuto ribadire, mettere in chiaro?
E Vaffanculo pure a te, Edward Shaw, coi tuoi messaggi monosillabici. Lo so che sei arrabbiato, lo sono un po' tutti con me, di recente, ma almeno..
non lo so.
Vado a dormire. Domani Moloko viene a trovarmi, domani forse mi sentirò meno sola.

( annotati in basso, un messaggio, scritto in fretta, molto in fretta. )

Vuoi partire. Vuoi pulirti la coscienza. Vuoi evitare di soffrire salutando. Vuoi che io scriva o dica qualcosa. Vuoi troppe cose, Zoe. 
  • "Non credo di riuscire a scriverti, mi si annoda lo stomaco in una maniera che proprio non puoi immaginare." Ed. 

sabato 7 dicembre 2013

'E ora, balliamo.'



(annotazioni scritte con una grafia fitta fitta.)

Sono arrivata, piove un casino, ho i calzini fradici e io odio avere i calzini fradici.
Quando non hai i piedi al caldo è una tortura, e mi sa che qui non ce li avrò per un bel po'.
Il Signor Volkov in realtà è il Capitano di questa gente, ed io non lo avrei minimamente sospettato.
Lo ricordo con una stecca da biliardo in mano, lo ricordo quando m'ha insegnato -oddio, diciamo che m'ha sfrantumato il culo- a Black Jack.

'Carta, carta, carta.'
'Sballato.'

Chiedo un'altra carta, chiedo di restare.
E il capitano acconsente, e Rosales, poi, mi guarda come se fossi una persona di cui prendersi cura.
Ed effettivamente l'ha fatto, s'è preso cura di me, non ha chiesto niente in cambio, lui non ha chiesto 'Carta'.
Chiede una carta Volkov, però, chiede che io produca farmaci.
E io acconsento, e lo faccio col cuore in gola, perchè stavolta non cucinerò droga, e nessuno mi sussurrerà più all'orecchio che sono un'assassina, e io forse potrò tornare a dormire.
Dormire. Coi piedi gelati, ma pur sempre dormire.
Carta, chiedo un'altra carta e mi ritrovo a viaggiare su una Jeep in compagnia di Rosales, mi spiega la prima regola, e mi guarda come se mi leggesse dentro, come se capisse.
Io, invece, non ci capisco proprio niente, se non che ogni volta che il mio accento corer mi scivola fuori dalle labbra, il banco sballa, e io mi guadagno una sonante occhiata di puro fastidio. O di diffidenza. O di odio. O di tutte e tre le cose insieme, accidenti.
E poi, improvvisamente Tiago mi afferra per i polsi e mette su una musica assurda, una che sembra ballabile, e in effetti 'Balliamo.' Mi dice.
'Ora balliamo', e più che ballare mi si spalma addosso e mi stringe, e poi mi fa ondeggiare a destra e a sinistra, che per fortuna che non ho mangiato niente, o giuro che vomitavo di tutto.
Me la offre lui, una carta. Con un sorriso di quelli che c'hai solo :

1- o quando sei ubriaco
2- o quando sei drogato
3- o quando gli Horyzon Buccaneers hanno vinto alla finale contro quegli stronzi del New London
4- o tutte e tre le cose precedenti insieme;

dicevo, con un sorriso davvero largo mi dice che mi può falsificare il tesserino identificativo.

'Te strapo dall'anagrafe'.
Mi strappa dall'anagrafe.
Rifiuto la carta e sto, che ancora non lo so se ho intenzione di sparire dal mondo, inghiottita del tutto dalla pioggia di Bullfinch.

La Cortès.
E' difficile sostenerne lo sguardo, è difficile farlo anche se se ne sta sdraiata sul letto mezza moribonda, è difficile soprattutto quando mi chiama 'faccia di merda', e io non so che dire, e mi viene il sospetto che il fango mi sia schizzato in faccia, ma evito di chiedere e pure di toccarmi il viso. Non voglio che Cortès pensi che sia totalmente deficiente.
Me la offre lei, la carta. E io l'accetto, accetto che mi insegni a sparare, non appena si riprenderà.
L'ansia mi assale al pensiero che io possa imbracciare un'arma e spararle inavvertitamente in faccia.
'Scusa, Cortès, Scusa preventivamente se io t'ho sparato addosso, non volevo, m'è partito il grilletto.'
Forse mi direbbe anche a quel punto che chiedere 'scusa' è da froci.
Anzi, no, non lo direbbe perchè a quel punto sarebbe morta.
Oddio, oddio ho appena ucciso la Cortès nella mia testa, questa cosa è terribile, non vorrei che morisse, non lo vorrei anche se continua a piantarmi addosso quegli occhi diffidenti e un po' cupi.
Si chiama Moloko, tra l'altro, l'ho scoperto, l'ho chiesto a Rosales, ho chiesto un'altra carta e lui me l'ha offerta come un croupier stanco, ma tenace.

E piove ancora, ed è tutto buio. Sto dormendo su un letto che non è un letto vero, o almeno, sarebbe un insulto chiamarlo 'letto', perchè le molle mi stanno aggredendo fisicamente la colonna vertebrale, credo che me la paralizzeranno entro breve, finirò su una sedia a rotelle per colpa di una branda malandata.
E' quasi più terribile che sparare addosso a Moloko.
Moloko. Carta, Moloko, Carta.
Dammi una possibilità, almeno una, prometto di respirare, di pagare le cambiali, di non entrare in ansia, di non sballare.
Prometto di non sballare.
Prometto di non pensare a Dragan, lo prometto, prometto di non pensare a come m'ha stretto forte le mani, a come m'ha guardata lì davanti alla Chiesa, come se non volesse lasciarmi andare. Prometto di non pensare alle risate soffocate contro le lenzuola, alla sua camicia rossa, agli schiaffi, agli abbracci dolenti e al suo risistemarmi dietro le orecchie le ciocche di capelli. Prometto di non pensare che porto sfacciatamente al collo la collana che m'ha regalato, alla sua risata afona, al suo modo di camminare come se fosse il padrone del 'Verse. Prometto.Io prometto di non pensare a quando m'ha parlato di Victory, e poi m'ha preso il viso tra le dita, e m'ha sfiorata con parole di quelle parole che fanno un male cane, a ripensarci, ma ho promesso di non farlo, e prometto anche di non credergli, di non credere che mi stia aspettando, che mi stia davvero aspettando.
'Fai quello che devi fare. E poi torna da me.'
Non mi stai aspettando, Joe, vero? Non lo stai facendo?




Le stelle, oggi, non m'hanno ancora inghiottita.
Ma le molle di questo materasso lo stanno per fare: Blackbourne sarebbe felice.




( annota, subito dopo, un messaggio probabilmente ricevuto sul cortex pad. Mancano interi brandelli di frasi, li ha prima scritti, poi cancellati con violenza.)


So cosa hai fatto [...] Morrigan e per l'ennesima volta mi hai [..].
Avrei dovuto ucciderti il primo giorno che ti ho visto mettere piede [...].
Hai cercato anche di [...]  pulita la coscienza. [...]Per trovare una soluzione ai tuoi guai.
Questo gesto Morrigan, non lo dimentico [...] questo.
Non c'è posto nel verse [...] dove non ci sia qualcuno che mi deve un favore.
Guardati sempre le spalle da oggi in poi Morrigan, [...] le cose cambiano.


(e ancora, più sotto, un altro stralcio di messaggio.)



'Perché ti dico questo? Perché ci ho pensato, Zoe, e ho capito che il mio orgoglio vale meno di quello che provo per te. E perché non voglio svegliarmi, domani, con la consapevolezza di averti perso, la consapevolezza che sia troppo tardi.'




venerdì 6 dicembre 2013

E' una cosa strana. Quando ti accade di vedere il posto dove saresti salvo, sei sempre lì che lo guardi da fuori. Non ci sei mai dentro. È il tuo posto, ma tu non ci sei mai.



Era lì, dritta in piedi, ad aspettare la nave che l'avrebbe portata più o meno all'Inferno.
Il suo bagaglio tenuto saldamente in una mano, come temendo che qualcuno potesse portarglielo via da un momento all'altro.
Ma non sarebbe arrivato nessuno, e lei lo sapeva.
Così come sapeva che si stava lasciando alle spalle una carriera che le avrebbe assicurato soldi, bei vestiti, lusso, conoscenze influenti e tanti, svariati sensi di colpa a pesare su spalle troppo magroline, per sostenerli tutti.
Aveva lo sguardo leggermente lucido degli antidolorifici e degli antibiotici che le circolavano nel sangue, il naso faceva ancora male, la sua faccia era un enorme livido scuro senza capo nè coda.

'Ho provato a darti un futuro: ti sputi su di me, su quello che ti ho dato. Ho fatto di te un essere significante, e non l'ennesimo pedone su una scacchiera che nemmeno puoi vedere. La mia delusione è massima. Levati dalla mia vista: con te, ho solo perso il mio tempo. Bada ad osservare queste poche regole: e a dimenticare ogni cosa che hai visto qui. E a non finire in attività che troverei disdicevoli: viola solo uno di questi precetti, e verro' a prenderti. Ovunque. Non ci sarà posto in grado di nasconderti, nel Verse.'

Le parole di Blackbourne le rimbombavano nella testa. Entravano in circolo, facevano sempre lo stesso giro, rimanendo piantate lì, a pulsarle contro le tempie.

'Che le stelle ti inghiottano, Morrigan.'
L'avrebbe preferito, di certo.
Avrebbe preferito venire fagocitata da un buco nero, probabilmente, piuttosto che ritrovarsi addosso quello sguardo. E quello di Eddie Shaw, la sua testa bassa, il sorriso amaro. E quello di Dragan Momic, puntato dritto in faccia come un pugno che non t'aspetti, mentre le faceva promesse che non avrebbe mai potuto mantenere.
Le dita sottili e infreddolite erano andate a serrarsi sul suo bagaglio, così forte che le nocche erano impallidite. Ed era impallidita anche lei, e forse, forse le si erano anche riempiti gli occhi di lacrime, mentre fissava con sguardo perso il punto in cui avrebbe dovuto attraccare la nave, di lì a breve.
Il fatto che avesse firmato un contratto di schiavitù rendeva solo più opprimente quell'attesa, un'attesa che l'avrebbe liberata da una morsa sottile ma ben presente lì nello stomaco.
Non aveva nemmeno mangiato.
Quel pensiero le era saltato in testa all'improvviso, in maniera improbabile e del tutto fuori luogo.
Seguito a ruota dal ricordo delle labbra di Dragan premute contro le sue, in quel bacio lungo, silenzioso e morbido, che aveva tutte le carte in regola per sembrare un addio.
Lei non glielo aveva detto, addio.
Non lo aveva detto a nessuno, in verità, e nessuno lo aveva detto a lei.
L'attracco della Nave lì davanti al suo sguardo era passato in secondo piano, le voci dei passeggeri che si preparavano a partire l'avevano fatta trasalire. Il bagaglio se l'era stretto al petto, improvvisamente, e gli occhi erano passati febbrilmente da una zona all'altra di quel mezzo di trasporto, col respiro fermo in gola, e lo smarrimento più cupo incastrato tra le ciglia castane.

'Allora, sali o no?'
Le aveva detto un tizio con un orribile copricapo in testa, facendole anche un cenno col braccio.
Era rimasta immobile a fissarlo, gli occhi via via sempre più sgranati, le labbra dischiuse nell'atto di parlare.

'Ehi, Ragazzina. Dico a te. Noi qui stiamo per chiudere.'
Con un battito di ciglia più svelto s'è resa conto che era restata lì impalata per chissà quanto. Perdeva pezzi di tempo, pezzi di tutto.
E alla fine su gambe traballanti e incerte, aveva raggiunto l'ingresso del boccaporto della Nave. Sfilando un sorriso cupo all'uomo che la fissava in tralice, aveva poi detto:

'Salgo, Sì. E che le stelle m'inghiottano.'

giovedì 5 dicembre 2013

Passa il tempo..


..e io faccio sempre le stesse cazzate.
Sto cercando di fare mente locale sul come m'è venuto in mente d'accettare la proposta di firmare il contratto di schiavitù per la Graf per un mese.
Sarà che in caso contrario ci morivo?
Mi sa di sì.
Ma poi, santoddiod'amore, posso diventare la schiava di una che NON PORTA LE MUTANDE?
Non le porta, oggi ne ho avuto la maledetta conferma, e ora la mia mente purissima verrà per sempre invasa da quella loschissima immagine che..nnhh..fmnfgnj..ngjgt
gtlgttgklh
hrthtkkh

fkkggk

DITA, CALMATEVI.

Voglio fare un resoconto, mettere per iscritto, giusto per capire e riflettere tra me e me, e le mie dita traumatizzate.

Il signor Blackbourne mi 'deve' parlare. Su come impiego il mio tempo quando non sono in servizio, dice.
Al che mi vengono in mente mille ipotesi, perchè voglio dire, ce ne stanno parecchie.
Avrà scoperto che mi vedo (VEDEVO, ZOE, VEDEVO!) di nascosto con Joe Black?
In caso: morirò.
Avrà scoperto che ho difeso Jordan nel bagno della roadhouse, mentre Luis pisciava allegramente sul pavimento? (E l'ho visto, non se l'è neppure sgrullato prima di rimetterselo nei pantaloni.)
In caso: morirò.
Avrà scoperto che me ne sono andata a fare una passeggiata a Bullfinch, in zona di guerra, in gran segreto?
In caso: morirò.

Forse è vero che dovrei andarmene da questo posto. Qui mi trattiene solo un nome, e quel nome è quello di Huck Haggerty, ma Huck Haggerty è così distante e freddo e mezzostronzo che mi si boicotta da solo, nel cervello. Ogni volta che mi chiedono il motivo della mia permanenza ad Hp, io formulo nella mia mente la frase:
'E' perchè ci sta Huck'.
Lo faccio in automatico.
Lo faccio praticamente senza rendermene conto, e adesso non so più nemmeno io da quanto tempo questa giustificazione non regge più. Se dalla sua ultima sfuriata, o dall'ultimo 'Vaffanculo, Morrigan'.
Sì, forse dovrei andarmene.
Peccato che la Graf m'ha detto che so troppe cose, e che probabilmente (INDOVINA COSA?) m'ammazzerebbero, pur di non lasciarmi andare con le informazioni che ho in mano.

Non so bene cosa fare. Inizio a prendere in considerazione l'ipotesi del suicidio se non fosse che io, nel 'Verse', ho ancora qualcosa da fare.