venerdì 6 dicembre 2013

E' una cosa strana. Quando ti accade di vedere il posto dove saresti salvo, sei sempre lì che lo guardi da fuori. Non ci sei mai dentro. È il tuo posto, ma tu non ci sei mai.



Era lì, dritta in piedi, ad aspettare la nave che l'avrebbe portata più o meno all'Inferno.
Il suo bagaglio tenuto saldamente in una mano, come temendo che qualcuno potesse portarglielo via da un momento all'altro.
Ma non sarebbe arrivato nessuno, e lei lo sapeva.
Così come sapeva che si stava lasciando alle spalle una carriera che le avrebbe assicurato soldi, bei vestiti, lusso, conoscenze influenti e tanti, svariati sensi di colpa a pesare su spalle troppo magroline, per sostenerli tutti.
Aveva lo sguardo leggermente lucido degli antidolorifici e degli antibiotici che le circolavano nel sangue, il naso faceva ancora male, la sua faccia era un enorme livido scuro senza capo nè coda.

'Ho provato a darti un futuro: ti sputi su di me, su quello che ti ho dato. Ho fatto di te un essere significante, e non l'ennesimo pedone su una scacchiera che nemmeno puoi vedere. La mia delusione è massima. Levati dalla mia vista: con te, ho solo perso il mio tempo. Bada ad osservare queste poche regole: e a dimenticare ogni cosa che hai visto qui. E a non finire in attività che troverei disdicevoli: viola solo uno di questi precetti, e verro' a prenderti. Ovunque. Non ci sarà posto in grado di nasconderti, nel Verse.'

Le parole di Blackbourne le rimbombavano nella testa. Entravano in circolo, facevano sempre lo stesso giro, rimanendo piantate lì, a pulsarle contro le tempie.

'Che le stelle ti inghiottano, Morrigan.'
L'avrebbe preferito, di certo.
Avrebbe preferito venire fagocitata da un buco nero, probabilmente, piuttosto che ritrovarsi addosso quello sguardo. E quello di Eddie Shaw, la sua testa bassa, il sorriso amaro. E quello di Dragan Momic, puntato dritto in faccia come un pugno che non t'aspetti, mentre le faceva promesse che non avrebbe mai potuto mantenere.
Le dita sottili e infreddolite erano andate a serrarsi sul suo bagaglio, così forte che le nocche erano impallidite. Ed era impallidita anche lei, e forse, forse le si erano anche riempiti gli occhi di lacrime, mentre fissava con sguardo perso il punto in cui avrebbe dovuto attraccare la nave, di lì a breve.
Il fatto che avesse firmato un contratto di schiavitù rendeva solo più opprimente quell'attesa, un'attesa che l'avrebbe liberata da una morsa sottile ma ben presente lì nello stomaco.
Non aveva nemmeno mangiato.
Quel pensiero le era saltato in testa all'improvviso, in maniera improbabile e del tutto fuori luogo.
Seguito a ruota dal ricordo delle labbra di Dragan premute contro le sue, in quel bacio lungo, silenzioso e morbido, che aveva tutte le carte in regola per sembrare un addio.
Lei non glielo aveva detto, addio.
Non lo aveva detto a nessuno, in verità, e nessuno lo aveva detto a lei.
L'attracco della Nave lì davanti al suo sguardo era passato in secondo piano, le voci dei passeggeri che si preparavano a partire l'avevano fatta trasalire. Il bagaglio se l'era stretto al petto, improvvisamente, e gli occhi erano passati febbrilmente da una zona all'altra di quel mezzo di trasporto, col respiro fermo in gola, e lo smarrimento più cupo incastrato tra le ciglia castane.

'Allora, sali o no?'
Le aveva detto un tizio con un orribile copricapo in testa, facendole anche un cenno col braccio.
Era rimasta immobile a fissarlo, gli occhi via via sempre più sgranati, le labbra dischiuse nell'atto di parlare.

'Ehi, Ragazzina. Dico a te. Noi qui stiamo per chiudere.'
Con un battito di ciglia più svelto s'è resa conto che era restata lì impalata per chissà quanto. Perdeva pezzi di tempo, pezzi di tutto.
E alla fine su gambe traballanti e incerte, aveva raggiunto l'ingresso del boccaporto della Nave. Sfilando un sorriso cupo all'uomo che la fissava in tralice, aveva poi detto:

'Salgo, Sì. E che le stelle m'inghiottano.'

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